di Fiorenzo Ferlaino*
il manifesto, 13 dicembre 2005
In Val di Susa su un masso erratico tra le rovine del Castello del Conte Verde, a Caprie, è ricordato il passaggio di Carlo Magno. Prima di lui attraversarono la valle Annibale e Cesare, dopo numerosi eserciti e ancora vivi sono i segni del passaggio di Napoleone. Da sempre la valle è un luogo di connessione. Oggi è attraversata dalla ferrovia, due strade statali, un’autostrada e si pensa di costruire anche il collegamento internazionale dell’alta velocità ferroviaria attraverso un tunnel di base di 54 km. La prima domanda che appare legittima è: ma è il caso? Certo la situazione è molto diversa dal 1857 quando iniziarono i lavori del Frejus.
Allora la velocità di scavo era di 0,7 metri al giorno ed essendo la lunghezza di quasi 13 km si fa presto a stimare che, lavorando 300 giorni l’anno, sarebbero occorsi 60 anni di lavoro e con due squadre (sui due fronti) 30 anni. In realtà le nuove tecnologie dei martelli perforanti avevano consentito (almeno sulla carta) di stimare in 14 anni la durata dello scavo. Ma erano brevetti non ancora ben testati e dopo cinque anni di costruzione non si era andati oltre i 700 metri di galleria. Al danno si aggiunse la beffa: la seconda guerra d’indipendenza (iniziata nel 1859), un’epidemia di colera tra le maestranze nel 1865 e, sempre nello stesso anno, due esplosioni sul lato di Modane con numerose vittime. Fu in questo contesto che si costruì la famosa «ferrovia Fell» del Moncenisio; una ferrovia tampone che avrebbe chiuso i battenti non appena il tunnel fosse terminato. Ma la storia è sempre beffarda: in poco tempo furono messe a punto le invenzioni di Bartellet e di Sommeiller, dei martelli perforatori a compressione, e la produttività salì repentinamente da 0,7 m/giorno a 2 m/g. e quindi a 3 m/g.
La galleria del Frejus fu terminata in 14 anni e fu la più lunga al mondo. Oggi si riparte con un nuovo tunnel di base, da 1200 m. a 400 m. per consentire velocità, grande capacità di carico, basso impatto ambientale (la gran parte è in galleria). E’ il caso? Si potrebbe affermare che stante l’attuale domanda non sarebbe il caso, dato che la linea ferroviaria è ampiamente sottoutilizzata. Ma la questione è più complessa. Già negli anni `30, in Germania, un famoso geografo, Walter Christaller, mise in evidenza il fatto che sotto l’ora di viaggio i flussi aumentano notevolmente (fanno un salto di soglia) e i sistemi territoriali tendono a far parte dello stesso bacino del lavoro (ci si scambia lavoratori e si diventa un unico sistema territoriale d’interazione). Se questo è vero l’alta velocità ferroviaria definirà in Italia due grandi bacini del lavoro: uno intorno a Milano (un sistema a rete che interessa i nodi di Torino, Bologna, Genova, Verona), l’altro intorno a Roma (che interessa Firenze e soprattutto Napoli).
Sono tendenze già in atto che possono accentuarsi e dar luogo a un nuovo modello d’interazione spaziale nel caso fosse definita una struttura efficiente di alta velocità con i relativi reticoli di prossimità ai nodi. E’ un meccanismo propulsore che se attuato contribuirebbe a fare uscire l’Italia e l’Europa (ricordiamo che la Ten, Trans European Network, è un progetto europeo) dal modello di mobilità basato sull’automobile e farla entrare in un’era di flussi collettivi oltre che privati (senza cioè la dominanza di quest’ultimo), a più basso impatto ambientale. E’ quanto già avviene nel «bacino delle capitali» europee (Bruxelles, Amsterdam, Londra, Parigi) che si sono attrezzate da tempo per questa evenienza.
In tale contesto il collegamento Torino-Lione è un segmento importante del quadro e significa fornire la possibilità di una connessione rapida tra il nord Italia e la Francia e tra due dei cosiddetti «quattro motori europei» (Milano, Lione, Barcellona, Stoccarda). Se si attuerà allora si compirà un salto nelle connessioni internazionali delle reti di città e Torino potrà dare/usufruire delle opportunità in un contesto macroregionale internazionale, altrimenti dovrà accontentarsi di gravitare (come già fa) su una Padania che rischia di rinchiudersi su se stessa e di implodere nelle baite e nelle «fabbrichette» dei distretti pedemontani, recentemente in parte delocalizzati nei paesi dell’est europeo o che utilizzano localmente la loro manodopera nel tentativo, poco innovativo, di stare sul mercato contenendo il costo del lavoro. Questo è il livello del discorso e delle scelte.
Razionalmente è una scelta da preferire in quanto meno impattante e più veloce dell’auto e concorrenziale (fino a 500/600 km) e molto meno impattante dell’aereo. Richiederebbe una rivisitazione profonda delle politiche.
Per la Torino-Lione parrebbe sensato rivedere le tariffe strada/ferrovia (il ferroutage esistente è poco usato) e chiedere, come hanno fatto oltralpe, che l’alta velocità significhi anche un’efficiente autostrada ferroviaria che sostituisca l’attraversamento delle Alpi delle merci su strada. E’ quanto si farà in Svizzera che dal 1999 sta aumentando sia le quote che le tariffe di attraversamento su strada dei Tir. A regime, nel 2006, le tariffe saranno circa 10 volte superiori al costo `99 (tante sono state valutate le esternalità negative della strada) e con questi soldi si sta modernizzando la rete e i tunnel ferroviari. Finiti i lavori (2017) tutti i Tir dovranno attraversare la Svizzera su treno. L’Italia invece ha aumentato la produzione di CO2 all’11% (il protocollo di Kyoto impone una riduzione al 6,5%) e preferisce dare i profitti autostradali ai privati piuttosto che utilizzarne almeno una parte per le ferrovie. Oggi però i giochi convergono tutti: movimenti Nimby insieme a Verdi e Rifondazione (ma non avevano firmato il programma della Bresso per l’alta velocità?), la Francia che preferisce la connessione a nord delle Alpi e il governo italiano in scadenza che trasforma una scelta in un apparato di provocazione e di retorica politica. C’est dommage…, si dice oltre confine.
*dirigente dell’Ires-Piemonte e curatore, insieme a Sara Levi-Sacerdotti, del libro «Processi decisionali dell’Alta velocità in Italia. Il ruolo del Piemonte nel corridoi sud dello Spazio europeo» (F.Angeli, 2005)