A mettere in fila le ragioni tecniche, economiche, ambientali dell’insensatezza
della Tav fu Mercedes Bresso, la stessa che oggi si batte per realizzare il progetto.
L’attacco contro la valle iniziò 150 anni fa con un trenino inutile.
Oggi come allora, in nome del «progresso» si violentano natura e popolazione.
di Virginio Bettini*
il manifesto, 10 novembre 2005
La rivolta popolare contro la linea ad Alta Velocità/Alta Capacità che dovrebbe, attraverso la valle di Susa, collegare la pianura padana alla Francia, mi ha spinto alla lettura del testo «Processi decisionali dell’Alta Velocità in Italia, il ruolo del Piemonte nel Corridoio Sud dello spazio alpino», curato da Fiorenzo Ferlaino e Sara Levi Sacerdotti per la Regione Piemonte (Franco Angeli, 2005), approdato sulla mia scrivania nel giugno di quest’anno e lì rimasto, fino ad ora, a prender polvere. Nel testo ho inutilmente cercato almeno un’ipotesi sulle ragioni che hanno portato, in questi giorni, a un’opposizione frontale tra abitanti della Val di Susa, polizia, governo regionale e nazionale, considerato che gli autori dedicano ben un capitolo ad «Attori, conflitti procedure e strumenti». Ho trovato un solo paragrafo sul costo della democrazia, piuttosto equivoco nella sua formulazione e un passaggio ove si sostiene che «il programma dell’Alta Velocità è stato il progetto che maggiormente è stato interessato dalla sperimentazione della normativa relativa alla "Via" e alla Conferenza dei Servizi». Un falso burocratico-amministrativo.
Guardando le altre tratte Tav
In questi ultimi dieci anni mi sono occupato, per e con enti pubblici, comitati di cittadini e partiti, delle valutazioni di impatto ambientale sulle tratte della Tav Milano-Bologna, Milano-Venezia, Torino-Milano e, nell’ambito della Commissione intergovernativa (Cig) della valutazione sulla tratta Torino-Lione. Ne ho tratto anche un libro pubblicato dalla Cuen di Napoli, «Alta Velocità. Valutazione economica, tecnologica ed ambientale del progetto», nell’ormai lontano 1997. Da quest’analisi risulta che, se pure vi è stata una sperimentazione della normativa, non certo voluta ma in qualche modo imposta, i risultati sono stati pessimi. Le valutazioni si sono configurate solo come analisi giustificative del tracciato e solo la costante pressione dei comitati di cittadini su amministrazioni locali sensibili ha portato a qualche risultato di revisione di parti del tracciato e di adeguate compensazioni nel caso di impatti difficilmente reversibili. Per il resto, solo una cupa aderenza alle esigenze progettuali. Lunardi e le sue sfide stavano già nello spirito gestionale del progetto ai tempi del centrosinistra, per cui, se guardo al futuro possibile di un centrosinistra vittorioso, mi vengono i brividi.
La cartina di tornasole
La Val di Susa con le sue lotte è la cartina di tornasole di questa situazione esplosiva prodotta da molti errori di analisi e valutazione. Proprio dalla Val di Susa ci viene un insegnamento in chiave storica. 150 anni or sono, la ferrovia giunse a Susa (1854) sul versante italiano e a St. Jean de Maurienne (1856) sul versante francese. Si pensò subito a un collegamento tramite tunnel tra i due capolinea, ma si considerò che il tempo di attesa, almeno 10 anni, era troppo lungo, per cui si ipotizzò un collegamento temporaneo superficiale attraverso le Alpi. Il collegamento in superficie, partendo da Susa, avrebbe sostanzialmente seguito il tracciato stradale, superando pendenze da brivido, con la difesa di alcune gallerie paravalanghe e la copertura dei binari con tunnel di lamiera anti neve. La linea si sarebbe addentrata nell’altopiano centrale verso il Moncenisio, oggi cancellato da un lago artificiale. Sarebbe poi scesa in territorio francese, quasi sempre posizionandosi al lato della strada, fino alla stazione di St. Jeanne, per un totale di 79,2 km. Il percorso si sarebbe compiuto in 5-6 ore, la metà del tempo impiegato dalle diligenze a cavalli, superando le forti pendenze grazie alla trazione di locomotive con terza ruota centrale, le quali avrebbero garantito una velocità di 15-20 km in salita e 17 in discesa. Un tracciato che, dal punto di vista paesistico, posso solo definire stupendo. Ancora oggi si possono ammirare i resti di piccole gallerie. Il treno, di completa progettazione inglese, chiamato treno Fell, iniziò il proprio servizio il 15 giugno 1868 e lo cessò il 1° novembre 1871, dopo che il 17 settembre era stata inaugurata la galleria del Frejus (http://www.moncenisio.com). Tutta l’operazione fu naturalmente in perdita, ma fu perseguita con la stessa forza e testardaggine con la quale oggi si vuole la Tav. Sarebbe forse utile, per una valutazione completa, comprendere le ragioni di un tale impegno economico in un tempo tanto breve. Dovremmo chiederci le ragioni di un progetto che, economicamente perdente in partenza, venne tuttavia realizzato a spese delle casse di quello che si stava definendo come Regno d’Italia e dell’allora impero francese di Napoleone III. Grandi opere impossibili per accreditare un proprio ruolo e una credibilità tecnologica nello scontro diretto con Prussia, e Austria-Ungheria.
Come un secolo fa
Oggi la storia si ripete e nell’Europa degli anni Novanta, dove il prestigio si tiene alto con le grandi opere infrastrutturali, si pone il problema del collegamento tramite tunnel ferroviario tra St. Jeanne de Maurienne e la Valle di Susa. Sarà il tunnel più lungo d’Europa, dai costi esorbitanti, dalle gigantesche difficoltà geologiche, con problemi ambientali posti dai cantieri e dallo smaltimento del materiale estratto dal tunnel, il cui approfondimento dovrebbe suggerire un completo ripensamento della funzione e dell’utilità dell’opera stessa. La scorsa primavera, la ex commissaria europea ai trasporti, ora coordinatrice europea della Torino-Lione, la signora Loyola De Palacio, il ministro Lunardi e la presidente della regione Piemonte, Mercedes Bresso, proclamarono a gran voce la sostenibilità del tracciato della Torino-Lione. Mi ha particolarmente stupito la posizione di Mercedes Bresso che, oltre a possedere una forte personalità politica, è mia collega in quanto insegnate universitaria, economista specializzata in valutazione di impatto ambientale. Se dovessimo utilizzare e applicare i metodi esposti in un manuale sulla valutazione di impatto ambientale redatto dai professori Mercedes Bresso, Alberico Zappetella e Rossana Russo – «Analisi dei progetti e valutazione d’impatto ambientale», pubblicato da Franco Angeli nel 1985, 1988 e 1990, con intervento di Paul Tomlinson nel 1988 e di Tomlinson e Gamba nel 1990, una vera bibbia per chi si occupa del settore – il progetto della Tav in Val di Susa non avrebbe ragione d’esistere, o sarebbe inesorabilmente da affossare sulla base della sequenza: insostenibilità dei costi, irreversibilità di alcuni impatti ambientali, negazione della partecipazione da parte della popolazione. Spero che l’atteggiamento della Presidenza della regione Piemonte non sia un indiretto assenso alla proposta bipartisan di Lunardi, il quale, il 5 novembre scorso, in occasione di un incontro a Verona dei ministri dei trasporti dell’Unione europea, ha chiesto all’opposizione una decisa adesione ai programmi infrastrutturali del governo, Alta velocità Torino-Lione e Ponte sullo Stretto di Messina compresi.
Ritengo comunque che esista ancora il tempo per dialogare e riflettere su due dei temi, centrali e irrisolti dal punto di vista ambientale, posti dal tracciato della linea Tav in Val di Susa: l’attraversamento della val Cenischia in uscita dal tunnel del Frejus a Venaus e gli effetti ambientali della cantierizzazione. Ho lavorato, con il mio collaboratore dr. Leonardo Marotta e con i laureati Enrico Tommasel e Marko Sosic, sui problemi ambientali posti dal tracciato della Tav all’uscita del tunnel in val Cenischia, utilizzando tecnologie dei sistemi informativi geografici per l’analisi ambientale e il supporto alle decisioni. Una ricerca svolta a seguito di un contratto tra la mia Università e la Lyon-Turin Ferroviarie (Ltf). I risultati della ricerca non sono stati apprezzati dalla Ltf. Abbiamo ipotizzato 4 scenari di attraversamento della valle Cenischia, svolto un’analisi multi-criteri e impostato una matrice valutativa utilizzando le tecniche Electre II e Promethee; analizzato gli impatti sugli ecosistemi utilizzando l’indice di Bio Capacità Territoriale (Btc), inserito il viadotto in un modello tridimensionale della valle, studiato la propagazione del suono. Insomma, abbiamo usato modelli di ecologia del paesaggio, identificato gli impatti cumulativi, compiuto un’analisi multi-criteri comprendente fattori tecnici, costi del progetto, impatti ambientali, costi ambientali, impostando un’analisi costi benefici su base ambientale. La soluzione proposta da Ltf per l’attraversamento della Val Cenischia non è risultata la più adatta, collocandosi al secondo posto di una classifica basata su 4 scenari. Lo scenario vincente avrebbe comportato ulteriori studi preliminari e un forte ritardo nella progettazione e nella realizzazione dell’opera. Ltf non solo ha segretato i risultati, ma non ha dato corso al successivo approfondimento della ricerca riguardante la valutazione del rischio del cantiere in uscita dal tunnel, per quanto esista un esempio analogico sul cantiere Alp-Transit per la nuova galleria del San Gottardo in Svizzera.
L’insegnamento viene dalla Svizzera
Se si visita il cantiere dell’Alp-Transit, alle porte di Biasca, Canton Ticino, ci si rende conto dei gravi problemi posti dallo smaltimento dello smarino (il materiale inerte estratto dal tunnel), si tocca con mano la problematica della depurazione dell’aria del tunnel e dell’acqua inquinata dalle attività di cantiere. Le superfici agricole e naturali perse sono enormi, il trasporto della maggior parte del materiale di risulta viene effettuato non su strada, ma con nastri trasportatori chiusi per evitare il disperdersi delle polveri in discariche ben definite, a pochi silometri dai cantieri. Alp-Transit non è in grado di fornire l’assoluta garanzia di protezione delle falde acquifere e la prevenzione dell’impatto è stata a lungo discussa con la popolazione interessata della Val Leventina. Ulteriori problemi sono posti dalla raccolta separata dei rifiuti del cantiere, dal riciclo dei materiali di risulta e dalla messa in discarica dei fanghi provenienti dagli impianti di depurazione.
Sono problemi che Ltf non ha completamente messo a fuoco nella fase preliminare di progettazione. Situazioni estreme di carattere ambientale non facilmente risolvibili. Come membro del gruppo «Ambiente e Territorio» della Commissione Intergovernativa della Torino-Lione (Cig), nel dicembre del 2000, ho presentato una relazione di minoranza nel rapporto finale «Nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione, Rapporto del gruppo di lavoro Ambiente e Territorio», pag. 62-63, in cui si sosteneva: «Il lavoro svolto manca della verifica di uno dei parametri fondamentali della Via, quello del do nothing o non fare, come pure manca lo specifico approfondimento della valutazione ambientale nell’ambito delll’analisi costi-benefici (Ecba, Environmental Cost Benefits Analysis), cosa ben diversa dalla valutazione quantitativa delle esternalità ambientali nell’analisi costi/benefici». Sottolineavo che il rapporto non poteva fornire un contributo adeguato alle decisioni per ben 14 ragioni (smarino, cantieri, idrogeologia, sicurezza, varianti di tracciato, uscita su Venaus, conoidi di deiezione e detriti di falda, tunnel di base, Carrière du Paradis, impatto sull’ambiente biotico, urbanizzazione e vincoli, valutazioni di landscape ecology, reversibilità-irreversibilità di alcuni impatti e necessità della procedura di consultazione Delphy, scenario alternativo di tracciato).
In conclusione, ritengo che la popolazione della valle abbia ragioni da vendere nel suo pacifico atto di ribellione, confermando di non voler delegare a nessuno, tanto meno a istituzioni che hanno perso di credibilità, la tutela del proprio ambiente, della propria sicurezza, della propria salute.
* Professore di analisi e valutazioni ambientali all’università di Venezia