Viaggio a Pagliarelle, paesino del crotonese da cui partono gli operai del TAV. Infortuni e orari bestiali Nel Mugello, dove sono aperte le gallerie dei treni ad alta velocità, vivono in baracche-dormitorio, isolati dalla città. E si beve, per non sentire la mancanza di casa di ORSOLA CASAGRANDE PAGLIARELLE (Crotone) In Galles, ad Aberdare lo stanno ancora aspettando quel monumento: c’è un bozzetto ma nulla più. A Pagliarelle invece, da un anno, il monumento c’è. E’ il monumento al minatore, una statua realizzata dallo scultore Domenico Greco e collocata nella piazza di questo piccolo paese della montagna crotonese. A Pagliarelle lunedì 16 e martedì 17 sono stati i giorni della memoria, ma anche un momento di festa e soprattutto di denuncia e proposta. Da qui, da questo piccolo centro, partono da decenni i minatori che vanno a «lavorare per la parte ricca del paese», come la definisce Pietro Mirabelli, anima dell’associazione dei minatori e delegato Cgil nel suo posto di lavoro. Che poi sono le gallerie del Mugello. «Viviamo nelle viscere della terra – spiega Mirabelli – lontani mille chilometri dalle nostre famiglie, spostandoci dentro prefabbricati che si muovono, seguendo il percorso delle gallerie». I minatori sono gente fiera. Orgogliosa del proprio lavoro, il più duro della terra, forse. Il più bastardo, sicuramente. Perché con sé, oltre a condizioni di lavoro disumane, porta anche un’eredità di malattie destinate ad accompagnare il minatore letteralmente fino alla morte. In Galles, a Tower Colliery, dove si estrae carbone, si convive con aneurismi e tumori. In Val di Susa (nei cantieri dell’Alta Velocità) i medici locali hanno lanciato l’allarme per malattie come l’asbestosi e diversi tumori legati alla presenza di amianto. Ma c’è un altro pericolo incombente: la sicurezza. In questi cantieri nelle viscere della terra è sempre un terno al lotto. Per la natura stessa del lavoro: sottoterra, quindi a rischio frane e cedimenti, fughe di gas. Ma anche per i turni massacranti imposti dai padroni. Gli incidenti, molto spesso mortali, costituiscono una lista infinita e drammatica. A Pagliarelle lo sanno bene. Per questo, per non dimenticare, l’instancabile Pietro Mirabelli, assieme all’associazione dei minatori, sta ricostruendo le biografie «dei morti e dei feriti in galleria». I pendolari calabresi delle grandi opere hanno ricordato in questi due giorni il giovane elettricista Pasquale Costanzo, che veniva proprio da Pagliarelle, prima vittima (è morto il 31 gennaio 2000) delle «condizioni di ingaggio, di lavoro e di integrazione sociale alle quali sono costretti, per contratto, migliaia di pendolari degli scavi impegnati nei cantieri dell’Alta Velocità». Proprio in questi cantieri nel Mugello, in provincia di Firenze, sono occupati lavoratori che giungono da numerosi centri della Calabria. Finora l’associazione, nel suo censimento tra i minatori, ha documentato che verso il nord partono lavoratori da Petilia Policastro, Cotronei, San Giovanni in Fiore, Laino Borgo, Tortora, Acri, Botricello, Celico, Pizzo Calabro, Cosenza, Cotrone, Castrovillari, Luzzi, Montalto, Rogliano, Scagliano, Colosimi, Bocca di Piazza, Serricella, Locri, Mesoraca, Gioia Tauro, Pagliarelle e molti altri. I minatori partono dalla Calabria e rimangono letteralmente segregati in miniera per settimane intere. Dai prefabbricati dove «abitano» (quattro metri per tre, due letti, due armadietti, due comodini) non è stato pensato nemmeno un servizio di bus-navetta per portare i minatori in città, Firenze dista infatti appena venti chilometri. Ma la socializzazione non è prevista, «se conosci qualcuno con la macchina – dice Mirabelli – bene, altrimenti ti arrangi e bevi, perché alla fine questo fa la maggior parte dei minatori, da solo». Una volta al mese si va a casa. Per tre giorni. «Si fa per dire – aggiunge Mirabelli – perché devi mettere in conto le ore di treno, dieci all’andata e dieci al ritorno». Alla fine con le famiglie si riescono a trascorrere poche ore. Mogli e figli, a casa in Calabria ad un certo punto hanno deciso di farsi sentire. A Pasqua del 2000 il vescovo di Firenze parlò dei minatori dell’Alta Velocità nella sua omelia e a Natale andò proprio nel cantiere a celebrare la messa, seguito dai familiare dei minatori giunti dalla Calabria. Purtroppo, però, le condizioni di lavoro sono rimaste, come sottolinea il delegato Cgil, praticamente uguali. E così si sono susseguiti gli incidenti: nove in tutto nella tratta Tav Bologna-Firenze. L’associazione ecologista fiorentina Idra e medicina democratica lavorano da anni con i minatori calabresi «in trasferta» denunciando i rischi per l’ambiente e per la salute degli stessi lavoratori che stanno scavando sotto l’Appennino la linea per i treni ad Alta Velocità fra Firenze e Bologna. Un’opera gigantesca, un tunnel di oltre 70 chilometri fra due città già vicine e che farà risparmiare qualche minuto di viaggio. Ma costerà alle tasche pubbliche 9 mila miliardi di vecchie lire. E che intanto costringe i minatori a turni massacranti: sei notti di lavoro, due giorni di riposo, sei pomeriggi di lavoro, un giorno di riposo, sei mattine di lavoro, tre giorni di riposo. E finalmente a casa. «Dove – dice Mirabelli – non ci sono nemmeno le strade asfaltate e il campo sportivo è in una cava». |
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