Dal Nord al Sud per scoprire che i treni costano di più ma corrono
di meno. Tempi di percorrenza simili a quelli di trent’anni fa
dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI
MODICA (Ragusa) – Partiti undici ore fa da Trapani siamo arrivati in treno a Modica. Avremmo potuto raggiungere prima Mosca o Dakar e anche Dubai. Ci vuole più tempo per attraversare la Sicilia sui binari che volare da un’altra parte del mondo. E meno male che per un pelo non abbiamo perso quello delle 8.10, quell’altro delle 9.40 faceva un giro vorticoso e noi avremmo visto Modica e le sue chiese barocche solo domani mattina alle 7. Vanno piano i treni in Italia. E su certe tratte, anche più piano di venticinque o trentacinque anni fa. Portano ritardi da spavento, puzzano, si fermano all’improvviso in mezzo ai campi.
Sono vuoti o stracarichi, sono forni d’estate e celle frigorifere d’inverno. Costano sempre di più e corrono sempre di meno. Per gli italiani sono un incubo. Ogni giorno siamo un milione e seicentomila i viaggiatori per piacere o viaggiatori per forza, pendolari, condannati alle brevi o alle lunghe "percorrenze", comunque tutti rassegnati su quei vecchi e rattoppati vagoni di 8 mila treni, tutti a illuderci che per una volta il nostro arriverà in perfetto orario. A voi è mai capitato? Al Sud come al Nord arrancano, si rompono, ci fanno prigionieri. Una corsa su rotaia è diventata una riffa, spostarsi da una città all’altra – vicina o lontana – può trasformarsi in una piccola tragedia. L’Alta Velocità è un brivido virtuale, i 300 chilometri l’ora sono ancora privilegio di pochi. Per qualche settimana abbiamo viaggiato fra Roma e Milano, in Sicilia, in Campania, sugli "interregionali" che collegano il Piemonte e la Lombardia, sugli Eurostar che salgono a Bolzano e su quegli Intercity che proseguono fino a Innsbruck e poi ancora a Monaco di Baviera. Ci siamo anche procurati i vecchi orari delle Fs del 1973, del ’75, del ’79 e del 1983. È stata una vera sorpresa il confronto dei tempi di marcia. È un’Italia che viaggia sempre lenta, stanca.
Il nostro viaggio è cominciato proprio dalla Sicilia. Stazione di Trapani, 461 chilometri fino a Modica. Ci abbiamo messo 10 ore e 44 minuti, a quaranta di media. Primo cambio al Piraineto, dopo Calatafimi. Quasi tre ore per Palermo. Coincidenza per Caltanissetta alle 12,05, coincidenza per Gela alle 14,28, coincidenza per Modica alle 17,18. È stato un viaggio fuori dal tempo, paesaggi siciliani di un inverno mite, i mandorli già in fiore, l’isola di Favignana all’orizzonte di primo mattino, le Madonie, il mare africano che è apparso all’improvviso al tramonto. E poi ecco la Calabria del ritardo permanente con i suoi convogli che salgono e scendono da Villa San Giovanni, la rete malconcia, le zecche, le tracce di legionella, vagoni come carri bestiame. Per arrivare da Catanzaro a Lecce, se si è fortunati, ci vogliono 7 ore e 7 minuti. Ma bisogna cambiare cinque treni. A Catanzaro, a Catanzaro Lido, a Sibari, a Taranto e infine a Brindisi. Cambiando solo tre treni – alle 14,55 – da Catanzaro si giunge a Lecce 10 ore 7 minuti dopo. Di notte si viaggia praticamente come più di trent’anni fa: 19 minuti in meno di quanto ci voleva nel’75 da Reggio sino a Roma.
Poi c’è il Basilicata, la regione italiana dove circolano meno treni, soltanto 356 chilometri di rotaie. Un anno fa in uno spot natalizio Trenitalia invitava ad acquistare biglietti in offerta speciale "per andare a trovare lo zio Pietro a Matera", peccato che a Matera non esista più una stazione ferroviaria. E qualche volta lì vicino, in Molise, non esistono più nemmeno i treni. Noi abbiamo comprato un biglietto da Termoli per Roma, siamo entrati in stazione ma il treno non c’era. E non solo quella domenica pomeriggio: non c’era da mesi. Abbiamo scavalcato gli Appennini a bordo di due pullman, sul Tirreno abbiamo ripreso un accelerato che a tarda sera – da Cassino – ci ha riportato a Termini. Si risale l’Italia, ci raccontano dei "servizi speciali" che prima o poi allieteranno i nostri calvari ferroviari. Massaggi shiatsu per 50 euro, noleggio di Dvd sugli Eurostar da Milano a Roma e viceversa. Fra le due capitali, di notte, c’è già chi può dormire in una suite, l’Excelsior, lettone matrimoniale, champagne prima di andare a nanna e giornali al mattino. Una pacchia.
Ma noi vogliamo volare su un treno. E allora bisogna andare a Sud e non a Nord: bisogna andare verso Napoli. È qui che c’è davvero l’Alta Velocità.
"Avvertiamo i signori viaggiatori che abbiamo appena toccato i 300 km all’ora", segnala una voce di Trenitalia appena dopo Formia. Il treno delle 10,25 – preso due volte – arriva sempre puntualissimo a Napoli centrale. Al ritorno, quelli delle 16,10 e delle 18,18, entrano a Termini in due diversi giorni con 7 minuti di anticipo. Sembra incredibile in quest’Italia che aspetta in eterno. Saliamo due volte anche sull’Eurostar per Milano, il 20 gennaio e il 7 febbraio. Il 20 gennaio arriva a Bologna in orario, poi un regionale maleodorante e con i cessi ridotti a una fogna ci trasporta fino a Piacenza. L’altoparlante alla stazione di Piacenza annuncia verso mezzogiorno: "Il treno proveniente da Reggio Calabria porta 150 minuti di ritardo". Il 7 febbraio – ore 8,45 – l’Eurostar parte da Roma un quarto d’ora dopo "per un guasto tecnico", a Firenze i minuti di ritardo sono 35, a Bologna 30. A Milano secondo Trenitalia 38, secondo il nostro orologio 46. Il giorno dopo il treno 9441 da Milano a Salerno arriva a Termini "con circa 25 minuti di ritardo". Il tempo ufficiale è registrato in quello che i tecnici delle Ferrovie chiamano "il segnale di porta", un chilometro e mezzo prima che il treno arresti effettivamente la sua corsa e il passeggero metta piede sulla banchina.
Ancora più a Nord, è il 28 dicembre del 2006. Partenza ore 9 da Roma e arrivo a Bolzano alle 17,08. È in orario. I problemi cominciano dopo. Da Bolzano a Innsbruck – treno delle 18,31 – la carrozza di prima classe (tedesca) è buia e fuori uso. Un ferroviere sbarra il passaggio, la porta fra un vagone e l’altro però non si chiude, il rumore è assordante. Con il treno numero 88 il 30 dicembre andiamo a Monaco. Sono vecchi Intercity, cattivi odori, tappezzerie logore, macchie, cestini pieni di rifiuti. Il treno arriva in orario. E sempre in orario e sempre più sporco ritorna l’1 gennaio a Rovereto.
Il giorno dopo ci trasporta a Roma l’Eurostar delle 17,08. Abbiamo il posto 56 sulla carrozza 1. Un’impresa solo sedersi. Ci sono valigie accatastate lungo i corridoi. È un arrembaggio, cento e forse più sono quelli che sono saliti senza prenotazione. Nessuno li ha fermati. Il bagno è un pantano, il ristorante un bivacco, il bar non ha più una bottiglietta d’acqua già a Bologna. È il caos sull’Eurostar 9313 del 2 gennaio 2007. I passeggeri si accalcano nel vagone ristorante, qualcuno ce la fa a sistemarsi lì ma lo fanno alzare, qualcun altro che arriva dopo miracolosamente riesce a mangiare. Al bar salta fuori verso Firenze l’acqua che non c’era a Bologna. E anche la birra, che era pure finita cinquanta chilometri prima. Non c’è pane. Non c’è niente. Si sfiora una rissa fra un dipendente di Trenitalia e una mezza dozzina di passeggeri. L’Eurostar 9313 arriva quasi in orario, sole sette minuti di ritardo. Da Roma a Monaco e ritorno, in prima classe, il biglietto è costato 341,78 euro.
(1 – continua)
(15 febbraio 2007)