Il clan dei casalesi conquista Milano

interessante articolo di Saviano che ci fa conoscere un pò uno dei personaggi di spicco del clan dei casalesi coinvolto nella costruzione della linea ad alta velocità:


In autunno processo d’appello ad una famiglia della camorra casertana
L’anno scorso 21 ergastoli e novanta condanne contro l’organizzazione

di ROBERTO SAVIANO


Bin Laden è riuscito a mettere le mani su uno dei territori più ambiti, il centro di Milano, nella cerchia dei Navigli. Via Santa Lucia è una di quelle stradine signorili, tranquille, quasi invisibili che però stanno a due passi dai locali più di moda e dagli imponenti palazzi storici dove avvocati e notai hanno i loro studi e dove gli imprenditori cercano appartamenti e showroom per vivere accanto alle vecchie famiglie milanesi. Proprio lì si trova l’ultima preda urbanistica di una città che prevalentemente vede espandere i suoi fianchi, e nelle periferie duplicare e triplicare persino il proprio nome. Invece aveva un cuore intatto, un territorio illibato su cui poter ancora edificare e vendere a 15mila euro al metro quadro. Proprio lì è riuscito ad entrare Bin Laden, nel grande affare immobiliare milanese.

Bin Laden non è il temibile capo di Al Queda, non è saudita, non è neanche islamico e non conosce altra fede che il danaro. Bin Laden è il soprannome di Pasquale Zagaria, imprenditore del clan del cemento, il clan dei Casalesi, è originario di Casapesenna, un paesino del casertano dove ci sono più imprese edili che abitanti. Bin Laden è il soprannome che emerge dalle indagini dell’antimafia di Napoli coordinata dai pm Raffaele Cantone, Raffaello Falcone e Francesco Marinaro: un appellativo dovuto alla sua capacità di sparire e soprattutto alla sua temibilità, alla paura che il suo nome genera soltanto a pronunciarlo. Si racconta però che tale soprannome fosse uscito fuori quasi per gioco: se avessero messo una taglia su Pasquale Zagaria come quella su Osama, alcuni imprenditori del clan e i loro gregari dichiararono ironici che l’avrebbero tradito, poiché se diveniva materia di profitto pure la fedeltà, allora era giusto poter contrattare e vendere anche quella.
Pasquale "Bin Laden" Zagaria, secondo le accuse dall’antimafia di Napoli, è uno degli imprenditori capaci di egemonizzare i subappalti dell’Alta Velocità Napoli-Roma, di determinare i lavori della linea ferroviaria Alifana, di avere ditte pronte ad entrare nell’affare della Tav Napoli-Bari e nel progetto della metropolitana aversana, e infine pronti a gestire la conversione a scalo civile dell’aeroporto di Grazzanise, che dovrebbe divenire il più grande d’Italia. Le imprese di Zagaria hanno vinto sul mercato nazionale grazie ai prezzi concorrenziali, alla capacità di muovere macchinari e uomini e alla velocità di realizzazione. Costruiscono ovunque in Emilia Romagna, Lombardia, Umbria e Toscana. La crescita esponenziale di Pasquale Zagaria, la sua ascesa fino a diventare uno dei più importanti imprenditori edili italiani, è avvenuta soprattutto da quando è stato in grado di collocare il cuore del suo impero e quello dei Casalesi in Emilia Romagna, in particolar modo a Parma, che è oggi una delle città che più hanno a che fare con la camorra, avendo assorbito nel suo tessuto economico i capitali dei clan. 
Ma non c’è stata alcuna colonizzazione, piuttosto il contrario. A nord le imprese edili crescono velocemente, lavorano, costruiscono, vendono, acquistano, affittano, soltanto che non raramente entrano in crisi. Così è necessario che arrivino capitali nuovi, uomini e gruppi capaci di rassicurare le banche e di intervenire immediatamente. La camorra Casalese offre condizioni ottimali: i capitali più cospicui, le migliori maestranze e l’assoluta supremazia nel risolvere qualsiasi problema burocratico e organizzativo. E il clan Zagaria, che detiene all’interno del clan la leadership del cemento, può fare meglio di ogni altro competitore nell’acquisto di terreni, nella capacità di scegliere i materiali al miglior prezzo, nel reperire terreni edificabili, nel trasformare pantani inaccessibili in appetibili terreni dove costruire condomini lussuosi.

La figura che unisce Bin Laden Zagaria a Parma è il costruttore Aldo Bazzini. Uomo del cemento con interessi a Milano Parma e Cremona, secondo le accuse diviene testa di legno di Zagaria quando il loro sodalizio si fortifica attraverso il matrimonio. Bin Laden sposa la figliastra di Aldo Bazzini che, in una telefonata fatta con il suo avvocato Conti, commenta così la novità.
Conti: La figlia dove è andata?…
Bazzini: La figlia ha sposato un… un grosso boss! Eh! Giù!
C: Ma che roba! E sta bene?!
B: E sta bene!
C: Quel marito lì gliel’ha trovato lei! eh, BAZZINI?!
B:(ride)… Eh si eh!
C: Bisogna stare attenti a venire con lei!… Se no mi trovi il marito anche…
B: (ride)
C: E’ un boss veramente?
B: Eh si, si, si!
C: E lei fa… fa la vita da… da ricca?
B: Da ricchissima guardi!
C: Da ricchissima!
E effettivamente la vita migliora. In un appunto trovato dai carabinieri sono segnate le spese degli Zagaria, e tra basolati, calcestruzzi, cotti e intonaci si trovano elencati 19mila euro per una gita di un giorno a Montecarlo e 20mila per una spesa ad Oro Mare, la città dei gioielli.

Così dopo il matrimonio del boss le imprese di Bazzini, che andavano lentamente verso il tracollo, iniziano a riprendersi grazie ai capitali e alle competenze dei Casalesi. Ed è interessante vedere come i nomi di imprese di Bazzini che secondo la DDA di Napoli di fatto sono gestite dai Casalesi siano completamente slegati dal territorio meridionale. Nuova Italcostruzioni Nord srl, Ducato Immobiliare srl e persino un’impresa dedicata all’autore della Certosa di Parma, la Stendhal costruzioni srl.

L’Emilia Romagna è sempre stata territorio di investimento del clan dei Casalesi. Giuseppe Caterino, arrestato in Calabria due anni fa, era un boss che a Modena aveva il suo feudo. In via Benedetto Marcello da sempre esiste una roccaforte casalese e poi a Reggio Emilia, Bologna, Sassuolo, Castelfranco Emilia, Montechiarugolo, Bastiglia, Carpi. Basta seguire il percorso delle imprese edili e la sofferenza di molti emigranti dell’agro aversano, vessati dai loro compaesani dei clan. Persino le modalità militari furono esportate nei territori di investimento. Si iniziò il 5 maggio del 1991, con un conflitto tra paranze di fuoco dei casalesi a Modena. Il 14 marzo del 2000 vi fu un agguato a Castelfranco Emilia. E poi a Modena qualche mese fa, il 10 maggio 2007, è stato gambizzato Giuseppe Pagano, titolare dell’impresa edile Costruzioni Italia.

Il tessuto connettivo italiano è il cemento. Cemento è il sangue arterioso della sua economia. Col cemento nasci e divieni imprenditore, lontano dal cemento ogni investimento traballa. Il cemento armato è il territorio dei vincenti. In silenzio il clan del cemento ha preso potere in Italia, un silenzio che si è costruito con la certezza che quanto lo riguarda non sarebbe rimbalzato oltre ai confini campani. Un clan sconosciuto in Italia e invece notissimo e temutissimo laddove riesce ad egemonizzare ogni cosa. Il pm Raffaele Cantone, al processo contro il clan Zagaria, ha detto con fermezza: "Ci troviamo di fronte a boss che agiscono, pensano, e si relazionano come imprenditori. E sono imprenditori. Dire che esiste il clan Zagaria e che comandi su tutto il territorio è come dire che si respira aria".

Il clan è riuscito a divenire così potente perché a sud controlla completamente il ciclo del cemento. Impone le forniture, gestisce ogni tipo di appalto, detta le leggi del racket per ogni lavoro. Un sistema che non permette smagliature. L’estorsione diviene uno strumento fondamentale per mettere in relazione tutto e tutti nella stessa rete economica e chi è sotto estorsione ne fa obbligatoriamente parte. Ci sono decine di telefonate in cui imprenditori chiedono agli uomini del clan: "Fatemi faticare", e altre telefonate per non far partecipare alle aste fallimentari: "siamo di Casapesenna, quei terreni sono nostri". Basta pronunciare il paese di provenienza e ogni buon imprenditore comprenderà. Il calcestruzzo è monopolizzato da loro, chiunque voglia lavorare deve interloquire con loro, loro condizionano tutti i produttori di cemento: Cocem, Dmd Beton, Luserta, Cls.
Nessun cantiere può impegnare ditte che non abbiano ricevuto il permesso di lavorare dai Casalesi. Nelle indagini emerge un episodio significativo: una ditta a loro apparentemente sconosciuta stava lavorando senza il "permesso" al cantiere del canile di Caserta. D’immediato l’ordine fu: "Blocca i camion, non far più faticare nessuno". Poi scoprirono che la ditta che lavorava al canile era una delle loro miriadi di emanazioni e tutto tornò in regola.

E così le imprese dei clan riescono a risparmiare, vincono gli appalti a sud e migliorano le loro qualità a nord. Crescendo sono riusciti ad arrivare alle grandi opere. Nel 2003 si vara il progetto dei grandi cantieri del governo Berlusconi; secondo le indagini della Dda di Napoli, in un albergo romano ha luogo un summit per tentare di far entrare il clan nel progetto. Roma è territorio noto ai Casalesi, hanno già tentato la scalata alla squadra della Lazio, sono divenuti i partner vincenti di Enrico Nicoletti, boss della Banda della Magliana. Il luogo di incontro è una sala riunioni di un hotel della zona di via Veneto. C’è il costruttore Aldo Bazzini, c’è il boss Pasquale Zagaria, c’è Alfredo Stocchi, politico, ex assessore socialista, e c’è infine il presidente del consiglio comunale Bernini, consulente del ministro Lunardi. Giovanni Bernini, uomo di punta in Emilia Romagna di Forza Italia, nel ’94 viene eletto a Palazzo Ducale, nel 2002 è il più votato di tutta la Casa delle libertà. Bernini, che l’Antimafia napoletana interroga come testimone, spiegherà che Zagaria gli era stato presentato come un imprenditore, cosa reale del resto, ma dichiara che ignorava fosse anche un boss. L’inchiesta si ferma qui, quello che è accaduto dopo non si sa. Ma è evidente che non sono i clan ad avere bisogno delle grandi opere, bensì il contrario. Il cemento chiama il cemento più efficiente, i prezzi più convenienti.

Pasquale "Bin laden" Zagaria era latitante, lo cercavano invano mentre le sue ditte satellite continuavano a vincere appalti. Ma in seguito si è consegnato. Si è consegnato ed ha chiesto il rito abbreviato. Al processo, al Tribunale di Napoli, c’è tutto lo stato maggiore del clan. La strategia migliore: la legge diviene qualcosa che deve contenere il business, la prassi economica. É quindi inutile sfidarla quando non la si riesce a slabbrare, quando le maglie sono tirate al massimo. Bisogna incassare il danno, renderlo minimo. Non contrastare lo Stato, ma risolvergli le contraddizioni.
Quando il pm Raffaele Cantone riuscì a comprendere i meccanismi, aprendo indagini importanti sul clan del cemento e riuscendo a sequestrare cantieri per un valore di oltre 50 milioni di euro, il clan pensò di farlo saltare in aria. Le informative parlavano di tritolo ordinato ai fedelissimi alleati calabresi. Informazioni che quasi tutti i media ignorano. Al pm viene raddoppiata la scorta, la tensione sul territorio diviene altissima. ‘Ndrangheta e camorra casalese sono da sempre alleate, gemelle nel silenzio che riescono ad ottenere, a differenza di Cosa Nostra. Ma poi i falchi del clan vengono placati dalle colombe. Capiscono che non è il momento della carneficina. E il clan, che pure aveva massacrato un giovane sindacalista, Federico Del Prete; e che pure non aveva esitato a massacrare un proprio affiliato perché in carcere ebbe rapporto omosessuali "infangando" l’onorabilità dell’intero cartello, il clan più feroce del mezzogiorno si ferma. Non vuole telecamere, non vuole attenzione nazionale. Vuole rimanere sconosciuto. E quindi sospende la condanna al magistrato.

Pasquale Zagaria è il fratello di Capastorta. Capastorta è il soprannome di Michele Zagaria. Latitante da oltre undici anni, oggi ha preso il posto di Bernardo Provenzano alla testa dei boss più ricercati d’Italia. Michele è il capo militare del clan dei Casalesi, il leader incontrastato. In realtà formalmente è una sorta di vicerè assieme ad Antonio Iovine, "o’Ninno", del boss in carcere Francesco "Sandokan" Schiavone. Michele Zagaria ha organizzato un clan efficiente, e la sua vita è ovviamente materia di leggenda, ma nelle storie del potere di camorra la leggenda è riferimento mitico piuttosto che invenzione. Le informative parlano della sua villa a Casapesenna che al posto del tetto ha una cupola di vetro per poter far arrivare luce ad un enorme albero piantato nel salone di casa. Ma al di là delle stupefacenti tracotanze edilizie comuni a tutti i capi del clan del cemento, la strategia di vita del boss è quasi calvinista. Michele Zagaria ha rifiutato la famiglia, non ne ha creata una, ufficialmente. Pare abbia avuto una figlia, ma non ha ufficializzato la cosa, non si è sposato, vive in solitudine. Il boss trascorreva gran parte della latitanza in chiesa, e non c’è in paese chi non conosca la storia di Michele Zagaria che incontrava nel confessionale i suoi fedelissimi: nessuna confessione, solo affari. Il clan Zagaria è disciplinato, rifiuta la cocaina al suo interno. Quando i ragazzi del clan hanno iniziato a farne è intervenuto Pasquale Zagaria che li punisce chiudendoli nella gabbia coi porci. Ma anche il boss cede alla coca, in un’intercettazione ambientale un suo sottoposto, O’Sceriffo, timido e riguardoso, osa chiedere al boss se ha mai ceduto al vizio. La risposta del boss è terribilmente epica: "Dissi, Michele … mi devi togliere uno sfizio … ma tu lo hai mai fatto? … dissi … scusami se mi permetto … e lui mi guardò in faccia e mi disse "tu non lo sai che io sono come il prete; fa quello che dico ma non fare quello che faccio io" …".

Michele Zagaria è anche attento alla messa in scena di se stesso. Una volta una imprenditrice molto potente, Immacolata Capone, incontra un uomo del boss, Michele Fontana o’Sceriffo, e lui dice che deve farle una sorpresa. Le fa prendere posto in auto sul sedile davanti e intanto la donna sente rumori nel cofano, e una voce che dice che non ce la fa più. Quando chiede spiegazioni, lo Sceriffo mormora solo "Signora non vi preoccupate". Poi arrivano in una villa faraonica nelle campagna del casertano e lì dal cofano spunta Michele Zagaria che entra in casa. Lei, sconvolta dal boss, non riesce neanche a rivolgergli la parola, nonostante siano partner di affari vincenti da anni. Secondo alcune informative il boss prese posto al centro del salone di una ennesima sua villa, salone lastricato di marmi rari, e carezzando una tigre al guinzaglio iniziò a discorrere di appalti, calcestruzzo, costruzioni e terre. Un immagine cinematografica, capace da sola di creare mito, cibo di cui i clan devono alimentare il loro potere fatto di sparizioni e appalti.

Donna Immacolata era stata capace di edificare un tessuto imprenditoriale e politico di grande spessore. Lei, donna del clan Moccia, era divenuta interlocutrice del clan Zagaria, ambita da molti camorristi che la corteggiavano per poter divenire compagni di una boss-imprenditrice di alto calibro. Secondo le accuse l’uomo politico che aveva aiutato i suoi affari è Vittorio Insigne, consigliere regionale dell’Udeur, per il quale i pm Raffaele Cantone e Francesco Marinaro hanno chiesto la condanna a 3 anni e 8 mesi per concorso esterno in associazione camorristica. Insigne avrebbe, secondo le accuse, interceduto per procurare un certificato antimafia alle imprese della Capone. Nelle intercettazioni emergono continui riferimenti al politico, anche circa la spartizione dei proventi. Secondo le accuse Insigne interveniva per far vincere gli appalti alla Capone, ma la Capone poi una parte dei guadagni li riportava a lui. Vittorio Insigne al momento delle indagini faceva parte della Commissione Trasporti della Regione Campania, quando la Regione era il maggior azionista dell’Alifana, presso cui le imprese di Insigne lavoravano. Il pool dell’antimafia napoletana coordinato da Franco Roberti è riuscito anche a scoprire che la Capone era riuscita ad avvicinare il colonnello dell’aeronautica militare Cesare Giancane, direttore dei lavori al cantiere Nato di Licola. Il clan Zagaria infatti – secondo le accuse – è riuscito persino a lavorare per il Patto Atlantico edificando la centrale radar posta nei pressi del Lago Patria, punto fondamentale per le attività militari NATO nel mediterraneo. Ma forse la bravura le è stata fatale, Immacolata Capone fu uccisa nel novembre 2004 in una macelleria di Sant’Antimo. Pochi mesi prima avevano eliminato suo marito.

Il clan, della politica, fa ciò che vuole. Non c’è, come negli anni ’90, una sorta di necessaria sudditanza. Al contrario, è la politica oggi suddita degli affari, e quindi anche degli affari di camorra. In un’intercettazione Michele Fontana, "o’Sceriffo", racconta di come si sia interessato alla campagna elettorale delle ultime elezioni a Casapesenna e dice: "Il mio cavalluccio è salito". Il politico, che secondo le indagini è Salvatore Carmellino, O’Sceriffo lo chiama cavalluccio: una sorta di mezzo con cui stare tranquilli al comune, un contatto nelle sue intenzioni capace di divenire referente degli affari del sodalizio. La politica locale coma aia per i propri affari diretti, quella nazionale come spazio in cui di volta in volta interloquire, usare, ignorare, abusare, gestire. Se secondo von Clausewitz la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi e secondo Michel Foucault la politica è la guerra condotta con altri mezzi, i clan imprenditoriali non sono altro che economie che usano ogni mezzo per vincere la guerra economica.

Oggi i Carabinieri dei Ros romani che avevano
condotto egregiamente la ricerca di Capastorta dovrebbero tornare a inseguire Michele Zagaria. In queste ore si ha la certezza della sua presenza a Casapesenna, un capo militare non può abbandonare il suo territorio. Bisogna permettere alle forze di polizia del posto di essere coadiuvate, fare sì che le ricerche siano intensificate e che le imprese del cemento siano monitorate, seguite in ogni aspetto, impedendo che monopolizzino il mercato, distruggendo così ogni lontana idea di libera concorrenza. Ogni distrazione che viene oggi concessa al potere del clan ha il sapore della connivenza. Il governo di centrosinistra sino ad ora ha fatto troppo poco, sino ad ora si è dimostrato lento, distratto e morbido nella battaglia all’imprenditoria edilizia criminale, alle borghesie imprenditrici direttamente legate ai clan. É necessario che il governo intervenga sul meccanismo d’appalto dei noli: bisognerebbe vietarli, o non imporre la stessa autorizzazione dei subappalti. É necessario che si inizi a regolamentare il meccanismo degli appalti non permettendo che un impresa del nord possa vincere e
poi dare tutto il lavoro in subappalto.

Ma il silenzio è totale e colpevole. Nel processo Spartacus, il più grande processo di mafia degli ultimi 15 anni, che il giorno della sua sentenza non ha ricevuto attenzione sulla stampa nazionale, la camorra tenta in appello di veder decadere i suoi 21 ergastoli. Ma sarebbe gravissimo se si lasciasse al suo destino uno dei pochissimi tentativi fatti in questa terra per ostacolare i ras del cemento criminale. I collegi difensivi dei clan, l’enorme esercito di avvocati che hanno a disposizione le varie famiglie camorristiche – Schiavone, Bidognetti, Zagaria, Iovine, Martinelli – vogliono soprattutto silenzio, minimizzazione, vogliono che lo sguardo vada altrove. Vogliono spingere l’interesse nazionale a vedere queste vicende come scarti di periferia, aiutati spesso dalla nausea di una classe intellettuale distante da questi meccanismi e da una classe politica che quando non ne è invischiata non ne riesce più a comprendere le dinamiche. É interessante ascoltare le intercettazioni dei capizona, degli imprenditori dei clan anche per capire come per loro sia fondamentale che l’interesse nazionale sia attirato dalla guerra in Iraq, dai Dico e più d’ogni altra cosa dal terrorismo di ogni matrice.
Nei prossimi mesi non bisognerà togliere lo sguardo dall’appello del processo Spartacus. I boss non hanno condanne definitive, la Cassazione annulla tanti ergastoli. É fondamentale che non si dissolva l’attenzione nazionale, che si segua l’odore del cemento, perché cemento, rifiuti, trasporti, supermercati smettano di essere i serbatoi del riciclaggio e dell’investimento principe dei clan. Altrimenti sarà troppo tardi. Non ci sarà più confine di differenza, posto che ce ne sia ancora alcuno tra economica legale ed illegale. Temo che possa accadere che ogni parola che racconti queste dinamiche diventi muta, incomprensibile, come proveniente da un mondo che si crede distante; che ogni inchiesta giudiziaria divenga semplicemente un affare tra giudici, avvocati ed incriminati da sbrigare nel tempo più lungo possibile e nello spazio d’attenzione più ristretto e dove persino i morti ammazzati divengono un male fisiologico; qualcosa che non può che andar così. Temo possa accadere che le parole che raccontano tutto ciò diventino incomprensibili. Si rischia, per dirla con Elie Wiesel, di scrivere "non per comunicare ciò che è accaduto ma per mostrarvi ciò di cui non saprete mai". 

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